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Criptovalute

Mining di Bitcoin, quanta energia occorre per minare l’oro digitale?

  • Maggio 22, 2025
  • 4 min read
Mining di Bitcoin, quanta energia occorre per minare l’oro digitale?

Dietro l’oro digitale si nasconde un mostro affamato di elettricità. Ogni Bitcoin minato è il frutto di milioni di calcoli eseguiti senza sosta da macchine instancabili, come minatori ciechi in una galleria buia, intenti a scavare tra cifre e algoritmi. Il bottino? Un blocco, un premio, un frammento di ricchezza virtuale. Il prezzo? Energia. Tanta. Troppa.

Il fascino del mining non sta solo nei guadagni, ma nell’idea stessa di partecipare a una corsa all’oro moderna, dove però la dinamite è l’elettricità, e ogni esplosione si misura in kilowattora. Non è leggenda: una singola transazione può bruciare oltre 1.400 kWh, quanto basta per mandare avanti una casa per settimane intere. E tutto questo per dire “ok” a un blocco.

La rete Bitcoin consuma più di un paese intero, e la cifra, per chi osa guardarla in faccia, si aggira attorno ai 145 terawattora all’anno. Un colosso che si muove dentro e fuori il mercato energetico, al punto da influenzare perfino tariffe locali e disponibilità di corrente. Nel rumore di ventole, server e chip, si mescolano domande scomode: vale davvero la pena? È sostenibile?

Il processo di mining di Bitcoin: come funziona e perché consuma energia

Semplifichiamo e diciamo che tutto gira attorno a un numero. Non uno qualsiasi, ma uno talmente difficile da trovare che serve una mandria di computer a cercarlo. Si chiama “hash target” ed è la chiave che apre la cassaforte di ogni nuovo blocco Bitcoin. Per trovarla, le macchine non fanno magie: provano, sbagliano, riprovano. Migliaia di volte al secondo. E nel frattempo, il contatore dell’energia gira come un forsennato.

Non esiste intuizione, solo forza bruta. È un braccio di ferro digitale in cui vince chi ha più potenza di calcolo da buttare sul tavolo. Da qui nasce la fame insaziabile del mining: più chip hai, più possibilità hai di decriptare l’hash target.

Un tempo bastava un computer casalingo. Oggi, invece, si parla di interi capannoni riempiti fino all’orlo di ASIC, macchine specializzate che masticano algoritmi SHA-256 a ritmo continuo. Il calore generato è tale da costringere a impianti di raffreddamento industriali. E questi, a loro volta, bevono corrente come se non ci fosse un domani.

Il consumo energetico non è un effetto collaterale, ma la colonna portante dell’intero sistema. Ogni blocco minato è il risultato di una guerra silenziosa tra milioni di tentativi. Una corsa contro il tempo che diventa, inevitabilmente, una corsa al consumo.

Il paradosso è tutto lì: per mantenere una rete decentralizzata, si è costruito un ecosistema che dipende da una centralizzazione di potenza, di hardware, di energia. E, spesso, da un accesso privilegiato a fonti elettriche a basso costo.

Consumo energetico globale del mining di Bitcoin

I numeri fanno tremare i polsi. Parliamo di un consumo annuo che, in alcuni periodi, ha superato i 145 terawattora. Non un dettaglio da poco. È quanto basta per alimentare interi Stati per mesi, con buona pace di chi ancora pensa che il mining sia un passatempo per nerd con un PC acceso in garage. È diventato un’industria, e tra le più affamate in circolazione.

Il confronto con il mondo reale mette tutto in prospettiva. Bitcoin consuma più dell’intera Argentina, o quanto l’Olanda in un anno intero. E se fosse una nazione, occuperebbe una posizione non irrilevante nella classifica mondiale dei divoratori di energia. La rete, del resto, non dorme mai. Il flusso di calcoli è continuo, incessante, martellante. Giorno e notte, ogni secondo.

Il mining ha ridisegnato la geografia energetica del pianeta. Alcuni paesi sono diventati vere e proprie mete di pellegrinaggio digitale, scelti solo per il basso costo dell’energia elettrica. Dalla Cina del passato al Kazakistan, dalla Russia alle campagne americane. Dove la corrente costa meno, lì nascono le server farm.

Eppure, non è solo una questione di prezzo. In certe zone si sfruttano scarti energetici che altrimenti andrebbero persi. In altre, si ricorre ancora a fonti fossili vecchie come il cucco. Un contrasto stridente: tecnologia d’avanguardia alimentata da carbone e gasolio.

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