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Criptovalute

Satoshi Nakamoto, l’inventore di Bitcoin

  • Febbraio 22, 2022
  • 13 min read
Satoshi Nakamoto, l’inventore di Bitcoin

Il nome di Satoshi Nakamoto è diventato famoso per avere inventato il Bitcoin, ma nessuno sa di chi si tratti: se sia una donna, un uomo o magari un team composto da più persone. Insomma, in tanti conoscono il Bitcoin, la creatura a cui ha dato vita, ma la figura e l’identità dell’autore sono avvolte nel mistero. Anche per questo motivo si sono diffuse numerose teorie in proposito. Quel che si sa con certezza è che Satoshi Nakamoto è lo pseudonimo che è stato scelto da chi ha inventato non solo la criptomoneta del Bitcoin, ma anche la blockchain, la tecnologia che ne sta alla base e che per tanti esperti potrebbe rivoluzionare il mondo proprio come negli anni Novanta è avvenuto con Internet. Si ipotizza che Nakamoto sia miliardario, ma visto che non si sa di chi si parla è difficile confermare questa tesi. Qualcuno ha anche parlato di una candidatura al Nobel, anche se le candidature ufficiali al Nobel non esistono.

La storia di Satoshi Nakamoto

La storia di Satoshi Nakamoto è evidentemente legata a quella del Bitcoin, e ha origini più antiche di quel che si possa immaginare. Essa è emersa nel momento in cui, nel 2008 in occasione della Grande Crisi, i settori della finanza e dell’economia sono stati oggetto di strali, visti con diffidenza e con grande preoccupazione. Erano passati solo pochi giorni dalla chiusura di Lehman Brothers quando il famoso attivista cypherpunk Adam Back, noto per aver creato Hashcash, ricevette un messaggio di posta elettronica da un mittente di cui non sapeva nulla, un tale Satoshi Nakamoto. In questa mail a Back veniva chiesto di dare uno sguardo a un paper nel quale veniva illustrato il meccanismo di funzionamento di un nuovo sistema, a cui era stato dato il nome di blockchain, che sarebbe stato necessario come supporto per il Bitcoin, una criptomoneta.

I cypherpunk

Abbiamo detto che Adam Back era un attivista cypherpunk, ma a questo punto è necessario compiere un passo indietro e spiegare chi erano i cypherpunk. Si trattava di uno staff di hacker informatici ribelli che, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, erano i più grandi esperti di crittografia. I cypherpunk, in sostanza, erano programmatori che concentravano la propria attenzione sulla privacy nel settore digitale. Il programmatore e matematico americano Eric Hughes stilò anche un Manifesto cypherpunk, in cui si sottolineava che nell’era digitale, per una società aperta, la privacy è fondamentale. Il manifesto spiegava che c’era bisogno di qualcuno che realizzasse i software necessari per tutelare la privacy, ed era proprio quello che i cypherpunk stavano facendo. La responsabilità era loro, perché non ci si poteva attendere che le aziende, i governi o qualunque altra realtà senza volto si preoccupassero di assicurare la privacy delle persone. I cypherpunk, dunque, scelsero di scrivere il codice e si dedicarono alla creazione di mailing list chiamate cypher in gruppi informali. Lo scopo era quello di garantire la sicurezza informatica e la privacy degli account personali, a cui era pressoché impossibile accedere.

I cypherpunk e la cultura della privacy

Parecchi fra i cypherpunk erano soggetti ribelli e mossi da spirito anarchico, con la convinzione che tutte le persone al mondo dovessero essere collegate le une con le altre senza intromissioni da parte delle istituzioni. Era, quello, un pensiero utopico, legato a una concezione di Internet totalmente libero: una concezione che, però, con il tempo si è rivelata non aderente alla realtà. Furono proprio i cypherpunk, comunque, a mettere alla prova l’ipotesi per cui fosse possibile, in rete, spedire e ricevere dei soldi senza che ci fosse bisogno di un intermediario. Risale addirittura alla fine degli anni Ottanta la creazione di Digicash, opera di un crittografo e informatico americano di nome David Chaum, che su questo tema pubblicò anche un documento di carattere accademico. Bit Gold, invece, era una creatura di Nick Szabo, a sua volta un cypherpunk. Sia Chaum che Szabo hanno avuto l’idea, dunque, ma non sono mai stati in grado di costruire una reale esperienza di tipo peer to peer. Così, è stato necessario aspettare il 2008, anno del crollo del mercato azionario, per assistere a quella che si può considerare una vera rivoluzione della finanza resa possibile dal digitale.

Il documento di nascita del bitcoin

E torniamo al nostro (o alla nostra) Satoshi Nakamoto, che nell’autunno del 2008 redasse un documento di poco più di venti pagine chiamato Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System. Insomma, si parlava di un sistema di cassa elettronico fa pari. Il protocollo Bitcoin venne pubblicato da Nakamoto poche settimane più tardi su The Cryptography Mailing list. Sempre Nakamoto cominciò a contattare via posta elettronica tutti i cypherpunk, domandando loro se avessero interesse ad aiutarlo per mettere in atto la sua idea per un sistema nuovo di blockchain, che sarebbe stata una rete di computer connessi in modalità peer to peer.

Che cos’è la blockchain

Apriamo un’altra parentesi per spiegare in che cosa consiste la blockchain e qual è il meccanismo di funzionamento che ne sta alla base. Ideata per le criptomonete, la blockchain è un sistema di contabilità attraverso il quale tutte le transazioni vengono registrate sul ledger, che è un libro mastro pubblico. Il valore viene scambiato non con l’euro, con il dollaro o con qualunque altra moneta classica, ma con il Bitcoin, che è una valuta digitale. La procedura di creazione dei nuovi Bitcoin si chiama mining, che rappresenta un tentativo dei computer di giungere alla soluzione di un complesso problema matematico. Nel momento in cui il problema viene risolto, il Bitcoin è stato minato e finisce in premio al minatore.

Come sono nati i Bitcoin

In un primo momento la risoluzione e l’estrazione dei Bitcoin erano possibili per qualunque tipo di computer. Questo voleva dire che potenzialmente ogni persona aveva la possibilità di ricevere la valuta e di custodirla nel proprio wallet, un portafoglio digitale. Tuttavia, negli anni iniziali di sviluppo del Bitcoin le idee di Nakamoto vennero sottovalutate da parecchi crittografi, anche se in realtà esse rappresentavano proprio quello che loro avevano sempre tentato di creare. Il potenziale del Bitcoin venne colto unicamente da Hal Finney, un programmatore di computer americano; egli prese sul serio la proposta di Nakamoto e accettò, a titolo gratuito, di lavorare sul progetto del Bitcoin. La criptomoneta venne lanciata ufficialmente per la prima volta il 3 gennaio del 2009, e già nel 2010 Nakamoto scelse di abbandonare la comunità di Bitcoin. L’anno seguente fece sapere di avere affidato la sua creatura a Gavin Andresen, in buone mani, e di essersi dedicato ad altri progetti. Quella dichiarazione rappresenta l’ultima esternazione nota e l’ultimo contatto di Nakamoto. Era il 2011, e da allora sono passati 11 anni.

Chi è Satoshi Nakamoto?

Nel momento in cui sia la CIA che l’FBI effettuarono delle indagini a proposito di Satoshi Nakamoto, quest’ultimo si spaventò e decise di recidere ogni legame con lo staff di Bitcoin, dopo che Andresen aveva accettato di parlare di Bitcoin allo scopo di promuovere la tecnologia della blockchain. È da più di un decennio, quindi, che non ci sono notizie su Nakamoto: e questo ha contribuito ad alimentare il mistero a proposito della sua reale identità. Tante sono le teorie che si sono susseguite nel corso degli anni a questo proposito. Come si è detto, non si sa se si parla di un uomo, di una donna o magari di un team di più persone. Il nome potrebbe essere stato utilizzato come copertura da qualcuno che voleva creare una rivoluzione digitale, come per esempio un team di hacker ribelli, ma c’è anche chi ha pensato che dietro Satoshi Nakamoto ci sia un governo o magari la Cia. In lingua giapponese la parola Satoshi sta a indicare un pensiero saggio, rapido e trasparente, mentre Naka vuol dire relazione o medium; Moto, infine, significa fondamento o origine. Ovviamente, non è detto che tali significati possano aiutare ad arrivare a chi si cela dietro il nome dell’inventore del Bitcoin.

Hal Finney

Una delle ipotesi più comuni a proposito dell’identità di Satoshi Nakamoto è quella che fa riferimento ad Hal Finney, che è stato il primo individuo al mondo a ricevere Bitcoin. Finney era un cypherpunk le cui idee non erano troppo diverse dal pensiero di Nakamoto. Ci sono, poi, altri indizi che potrebbero far propendere per questa tesi. Egli, infatti, aveva come vicino di casa un uomo di nome Dorian Nakamoto, che per altro un articolo di Newsweek aveva indicato come l’inventore del Bitcoin. Come detto, Finney è stato colui che ha ricevuto la prima transazione in Bitcoin: ciò è accaduto il 12 gennaio del 2009. Si trattava di un invio di prova, anche se oggi 10 Bitcoin valgono più o meno 90mila dollari. Ancora, c’è da sapere che Finney era malato di sclerosi laterale amiotrofica, e questo ha portato a pensare che nel momento in cui Satoshi Nakamoto ha scelto di sparire Finney possa aver patito un peggioramento delle proprie condizioni di salute. Il giornalista di Forbes Andy Greenberg ha avuto modo di intervistare Finney quando la sua malattia era in uno stato avanzato ed egli era in grado di comunicare solo attraverso il movimento degli occhi. Il giornalista domandò a Finney se fosse stato lui a creare i Bitcoin, e il programmatore abbassò gli occhi: era il suo modo per rispondere di no. All’età di 58 anni, nel 2014, Finney è morto, sconfitto dalla SLA.

Nick Szabo

Nella lista degli indiziati come papabile Satoshi Nakamoto c’è anche Nick Szabo: come abbiamo detto prima, fu lui a concepire il Bit Gold, che è la valuta digitale a cui il Bitcoin si è ispirato. Colpisce il fatto che il primo paper dedicato al Bitcoin menzioni diversi progetti e, curiosamente, non il Bit Gold, che invece è quello che lo richiama più da vicino. In più, gli scritti di Szabo sono stati sottoposti a un esame sullo stile che ha rilevato diverse somiglianze con quello di chi ha scritto il paper del Bitcoin. Per esempio, la tendenza a lasciare due spazi prima di cominciare ogni frase. Szabo, inoltre, prima che venisse effettuato il lancio del Bitcoin su un forum aveva domandato ad alcuni programmatori se fossero interessati a fornirgli aiuto per proporre una nuova idea.

Craig Steven Wright

Craig Steven Wrigh nella primavera del 2016 ha dichiarato pubblicamente di essere Satoshi Nakamoto, parlando con GQ, con l’Economist e con la BBC. Per comprovare questa affermazione, ha firmato un messaggio usando la chiave di crittografia privata che era associata alla prima transazione che sia mai stata effettuata in Bitcoin. La validazione di tale firma, però, è stata oggetto di contestazioni; inoltre diversi specialisti di crittografia affermano che se anche si dimostrasse la validità della firma questa non potrebbe essere una prova sufficiente, dal momento che non riguarda il primo blocco che è stato creato ma il secondo. In seguito Wright ha promesso di fornire altre prove che avrebbero dovuto confermare le sue dichiarazioni precedenti. Dopodiché ha eliminato tutti gli articoli presenti sul suo blog e ha scritto una nota in cui si è scusato perché, pur essendo pronto a fornire altre prove, si era tirato indietro per la paura di farlo. Sempre nel 2016 Wright ha inoltrato una richiesta di copyright in relazione al paper del Bitcoin.

Michael Clear e gli altri indiziati

Fra i possibili Satoshi Nakamoto è stato preso in considerazione Michael Clear, un uomo laureato al Trinity College in crittografia, che però ha smentito di essere il papà del Bitcoin. C’è chi ha puntato il dito su un economista e sociologo finlandese di nome Vili Lehdonvirta, già sviluppatore di giochi, eppure anche lui si è esposto negando ogni legame con Nakamoto. Un professore della New York University di nome Adam Penenberg, invece, ritiene che Satoshi Nakamoto sia il frutto della creazione di tre uomini, Charles Bry, Vladimir Oksman e Neal King. Penenberg ha avanzato questa ipotesi a partire da una ricerca compiuta su Google di specifiche frasi del protocollo Bitcoin che possono essere ricollegate a una richiesta di brevetto, inoltrata da questo trio, per l’aggiornamento delle chiavi di crittografia e la loro distribuzione. Anche in questo caso, ovviamente, è giunta una smentita da parte dei diretti interessati.

Martii Malmi e Micheal Peirce

Il nome di Martii Malmi, sviluppatore originario della Finlandia, è stato chiamato in causa perché egli è stato uno di coloro che sin dai primi tempi si sono occupati del Bitcoin, creando fra l’altro l’interfaccia utente del sistema. Un’altra teoria conduce a Jed McCaleb, inventore di MtGox e appassionato di cultura nipponica, da tempo trasferitosi dagli Stati Uniti – il suo Paese di origine – in Giappone. Si è pensato, poi, a Michael Peirce e a Donal O’Mahony, autori di un documento relativo ai pagamenti digitali sulle piattaforme di commercio elettronico. Girano voci su Elon Musk, da quando Sahil Gupta, un ex stagista di SpaceX, si è reso protagonista di una soffiata in tal senso. Musk, però, attraverso il proprio profilo di Twitter ha smentito tutte le illazioni. David Schwartz è un’altra delle persone che si sono trovate costrette a smentire di essere Satoshi Nakamoto. Chief Technology Officer di Ripple, alla fine degli anni Ottanta egli aveva depositato un brevetto a proposito di una rete di computer distributiva ancora prima che Internet esistesse: in pratica, un’idea molto somigliante a quella del Bitcoin, in anticipo sui tempi di un paio di decenni. Per altro, Schwartz era abituato a usare uno pseudonimo, e per lungo tempo si era servito dell’alias di Joel Katz.

Il mistero prosegue

Il fatto è che non ci sono mai state prove oggettive che abbiano consentito di avvalorare senza possibilità di smentita qualunque ipotesi a proposito della reale identità di Nakamoto. Questo non vuol dire che una delle persone di cui abbiamo parlato fino a qui non possa essere o non possa essere stata Satoshi Nakamoto. Diversi membri della crypto community ritengono che, per quanto geniali si possa essere, una sola persona non avrebbe mai potuto realizzare una tecnologia simile, con un tale grado di perfezione, senza l’aiuto di qualcuno. È per questo motivo che in tanti sostengono che vi siano vari team di sviluppo dietro l’alias di Nakamoto. Qualche tempo fa Charles Hoskinson, fondatore di Cardano e co-fondatore di Ethereum, per provare ad aiutare chi desidera risolvere questo mistero ha consigliato di ricorrere all’analisi della scrittura del codice: ciò dovrebbe permettere di capire chi è il padre del Bitcoin.

L’analisi della scrittura del primo codice

In effetti non ci sono dubbi a proposito del fatto che sia stato Satoshi Nakamoto a scrivere il codice del primo client, e per di più ci sono online un sacco di progetti basati su codice open source: vi si può far riferimento per confrontare il loro stile con quello del misterioso Satoshi. Hoskinson ritiene che ci siano elevate probabilità di imbattersi in alcune somiglianze, a partire dalle quali si potrebbero focalizzare le ricerche su nomi specifici. Sempre secondo il creatore di Cardano, la peculiarità del codice di Bitcoin era il fatto che si fondasse su Forth, un linguaggio di programmazione alquanto originale che veniva impiegato in modo particolare fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta negli Stati Uniti orientali e in Gran Bretagna nel settore della pedagogia informatica: il che dovrebbe essere utile per stringere il cerchio. È pur vero che quella che è stata indicata da Hoskinson non sembra una strada molto facile da percorrere; d’altro canto, dopo anni e anni di ricerche questo sembra essere il solo modo per riuscire a trovare un nome, o una serie di nomi, da associare a Satoshi Nakamoto, creatore del Bitcoin e di un mistero che nemmeno la Signora in Giallo potrebbe risolvere.  

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